Ventun febbraio duemiladodici (e viceversa)

L’acciuga abbracciava il pomodoro a ridosso del pezzo di formaggio, in un bagno di olio, aceto, erbe aromatiche. Chiacchiericcio, vapori di pane a mezz’aria: bollicine di birra arrampicate all’incavo del bicchiere. Gomiti dentro maniche a creare angoli sulla superficie del tavolo di legno, i ragazzi a guardare la partita stretti dentro i cordoni delle loro emozioni da tifoso, la chat di Facebook dallo schermo del cellulare, e i quadri colorati di blues a decorare il corridoio orecchio-cervello.
“Di tutti i bar che ci sono al mondo, proprio nel mio dovevi capitare?”
Ti sedevi ad un tavolo vicino e irraggiungibile dallo sguardo e dalle intenzioni. Tutti fingevano rassicurante normalità: il tempo doveva aver curato ogni cosa, ormai.
Come una risposta immunitaria, si sono scatenate centomila microbattaglie assordanti, un flusso di tragedia e cella frigorifera, dal cuore, dal cuore, dal cuore. Di battito in battito, di secondo in secondo, di canzone in canzone.
Di un suono possiamo caratterizzarne l’inviluppo nel volume parametrizzando il tempo che impiega a raggiungere il volume massimo (“attack”), e a scendere di volume (“decay”) fino al livello di “sustain”; una volta rilasciato, il suono si acquieta in un determinato intervallo di tempo chiamato appunto “release”.
Una volta rilasciato, il suono si acquieta in un determinato intervallo di tempo chiamato appunto “release”.
Un determinato intervallo di tempo chiamato appunto “release”.
“Release”.

Bi/sezione

Comando: VI STO DANDO UN FOGLIO. SU QUESTO FOGLIO SCRIVETE ALCUNE FRASI O ANCHE SOLO QUALCHE PAROLA IN RELAZIONE A QUELLO CHE STATE REALIZZANDO.

Svolgimento: “non c’è libertà senza un confine; non c’è quadro senza cornice; non c’è ora d’aria senza carcere; non c’è sogno senza sonno; non c’è direzione senza strada; non c’è io senza corpo.”

* * *

Nuovo comando: DA QUELLO CHE AVETE SCRITTO PRIMA, SCEGLIETE LE PAROLE CHE PIÙ VI COLPISCONO, E PROVATE A SCRIVERE UNA POESIA UTILIZZANDO QUELLE PAROLE.

Svolgimento:

Fili d’oro
piovono fra le barre
ombrose del carcere.
Tra chiaro e scuro
si sveglia il mio
corpo affettato;
c’è un sogno
in direzione della
libertà.

Arcobaleno monocromatico

Non sono mica capace a raccontare.
Posso fare
elenchi
di cose.
Questo sì. E non è detto che ora ne faccia uno. Mi è piaciuto molto il film che ho visto ieri, però.
“Hable con Ella” (doppiato in italiano, naturalmente), di, lo sapevate già: Pedro Almodóvar. Per scrivere correttamente il nome del regista ho dovuto ricorrere alla funzione di inserimento dei caratteri; le tastiere per computer, in questa parte dell’Europa, sono solitamente sprovviste di un tasto per scrivere una lettera o con l’accento acuto: non siamo spagnoli, contrariamente a quanto credono gli statunitensi.
Ad ogni modo, avevo già visto “Parla con Lei”. Non ricordo esattamente quanto: senz’altro dopo il 2007. È (alt+0200) buffo come io abbia adottato, negli anni, l’abitudine di collocare gli eventi prima o dopo una certa data: quando andavo in terza media, quando andavo in prima ITIS, l’anno di quel famoso 11 settembre, il periodo degli esami di maturità. Eccetera. Ecco, vedete: continuo a non parlare del film.
Che ho visto ieri.
Il film di Pedro A. “Parla con Ella”.
Non starò certo a raccontarvelo. Negli ultimi giorni m’era tornata in mente la scena in cui Caetano Veloso canta “Cucurrucucú Paloma”, e Marco si mette a piangere e a fumare. M’era tornata in mente quella scena in una maniera così famelica (lo so che non si dice, ma tant’è), che ho voluto cercarla sul Tubo così da poterla condividere su FB – ma potranno mai le prossime generazioni capire il senso di quest’ultima frase?
Seduti accanto, a migliaia di chilometri di distanza, uno a parlare, e l’altro a pensare solo di doverlo fare in seguito, a volte sembra che possiamo riservarci il merito della possibilità di fare tutte le scelte. A volte sembra che sia più difficile stabilire la propria direzione controvento, la stessa direzione che ci porta lontano, verso la verità nuova, verso il giorno del ritorno.
Quanti minuti ho perso oggi ad aspettare che passassero le ore? E quanta attesa mi abitua ai non eventi? Quanti discorsi non mi hanno portato da nessuna parte, quanti sogni ancora dovrò fare prima di alzarmi di un solo centimetro?
A te che leggi, le mie scuse: ero partito anche abbastanza bene. Tranquillo, molti spunti. Ora: il monotema. Cercavo un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea, sulle cose, sulla gente, over and over again.