Bussando

A volte mi chiedo se esisti veramente, se dietro quei botta e risposta, quei segni non-neri su sfondo non-bianco, ci sia una persona vera, un’Anima capace di sentire, di sentirmi.

Me lo chiedo soprattutto la mattina, mentre cammino per andare al lavoro.
Sono mesi che la mattina, anziché la bicicletta adopero le mie gambe per trasportarmi fino alla fabbrica. Tutti quanti mi dicono che sono un idiota, che “chi me lo fare”. Ma a me piace. Dieci minuti di alienazione, dieci minuti di strada fra la mia casa e un luogo senza affetti, giusto dieci minuti per pensare, per cantare a squarciagola dietro la maschera della mia faccia serena.

Così mi capita di pensare a te, che esisti poco nel mio mondo.
A te che sei solo un nome e qualche foto e una chiacchierata notturna.
A te che esisti marginalmente, che sei lo spazio fra le parole, lo stacco fra i colori in mezzo al primo piano e lo sfondo, la pausa fra le note, il tempo dell’attesa.

Busso alla tua porta elettrica, con discrezione. Vorrei parlare con te, se tu lo vuoi. Vedere se stavolta riesco a replicare la magia, se riesco di nuovo a non spaventarti, sconosciuto contatto, presuntuoso amico, collezionista di sfoghi, battute, rivelazioni e ritagli di segreti.

Vorrei conoscerti.
Vuoi conoscermi?

Incipit

Devi provarci, almeno.
Devi alzarti, metterti a correre.
Costruirti delle braccia, arrampicarti sulla vita e sudare ogni respiro, fremere per lo sforzo.
Capire dove sei, volgere lo sguardo sull’eterno, altrimenti domani ti ritroverai distante una giornata di marcia da qui, in un posto dal quale non potrai tornare.
Potrai solo voltarti, e capire che allora sarebbe stato meglio provare.

Conversazione post-pranzo in un sabato qualunque

“Pronto?”
“Dimmi.”
“Ah, ciao… ciao. No, dimmi tu, sei tu che mi stai telefonando.”
“Ah, boh, ho visto la tua chiamata stamattina.”
“Ah, sì, quella… beh, avevo visto che mi avevi chiamato, ma non conoscendo il numero a memoria ho provato a telefonare per vedere chi era, ed eri tu.”
“Eh, sì, ti avevo cercato perché mi hai telefonato ieri sera.”
“Sì, ti chiamavo per vedere se uscivi.”
“No, ero al lavoro.”
“L’avevo immaginato.”
“Esci stasera?”
“No, ho l’incontro col gruppo. Ciao.”
“Ciao.”

Click.

Senza tempo

Questa città è invivibile.

Sono venuto a prenderti, ma sono venuto con l’autobus. Quindi se vogliamo andare a fare un giro bisognerà andare a piedi. Qui vicino c’è un parco, se vuoi possiamo andare lì.
No. Piove. E poi fa freddo.

Entriamo in quel caffè! La cameriera annoiata si chiama Jenny. Scarabocchia che vogliamo due cappuccini e due fette di torta di mele. La torta di mele è finita. Prenderemo delle patatine.
Consumiamo in fretta il nostro spuntino. Fra quaranta minuti Art e Paul saranno dalla signora Robinson ad attenderci. Tim non sta bene.
L’iPod non mi ti fa sentire. Come? Ti amo.
Le macchine schizzano via veloci, mentre ci affrettiamo lungo la Trentaquattresima. La bambina viene strattonata, il cane sta facendo un macello col guinzaglio, un nero mostra un sorriso bianchissimo, tre amiche ridono come oche, un ragazzotto fuma, un signore tossisce, un altro si fruga nelle tasche dei pantaloni. L’asfalto è bagnato, e c’è odore di pane.

Ciao Art, ciao Paul. Signora. Tim! Come va?

Avevamo vent’anni. Ne avevamo trenta. Ti amo.

Fiona ti dice che quel top ti sta d’incanto. È vero, sai? Ma sei un po’ dimagrita.
La tua tessera universitaria, le chiavi della macchina, la busta paga, e qualcosa ti preoccupa.
Hai una ruga? Mark non sta fermo, Lisa strilla.
Ma hai caricato la lavatrice? Hai spento la luce?
Ho freddo. Facciamo l’amore.

I bambini.

Roger! Roger…! Stupido cane! Vieni qua, bello! Salta… salta! Bravo… bravo bello! Eh, eh… hai visto? Stupido cane! Cattivo! CATTIVO!!

Qui avevamo vent’anni. Ricordi?

Non credevo sarebbe mai successo. Era, era, era. Me la ricordo, sai? Forse un po’ nervosa, in ultimo. Papà le aveva promesso che l’avrebbe vista, prima o poi. Non è più lo stesso. Ha gli occhi che non vedono il domani. L’abbiamo scritto al cugino Frank?

Sono tornato a scuola. È rimasta la stessa. Anche i computer. La signora Johnson è ancora là.
Un ragazzo s’è girato verso di me. Ero io.

Avevamo quarant’anni.

Ricordi?