Post-umi

Non l’ho nemmeno riletto il mio post di ieri. Immagino che fosse abbastanza deprimente e squinternato… me ne scuso.
In realtà, se ignoro questi continui alti e bassi emozionali, non è un così pessimo periodo: voglio dire, non ho un serio malanno fisico, non posso dire di non avere amici che mi aiutano, e sul lavoro posso ammettere di ricevere anche delle soddisfazioni. Non è che ci sia effettivamente qualcosa che non va.
Diciamo che sono ancora un po’ “disperso”, se vogliamo. La realtà quotidiana mi assorbe in una nuvola di tante, piccole questioni materiali da risolvere. Molte di queste semplicemente le rimando… tuttavia, così facendo, mi ritrovo più in là con le medesime questioni di cui dovermi occupare, gravate però da un ritardo accumulato. E quante energie, allora, spese per rincorrere la soluzione! Ci si ritrova, poi, ad esercitare uno sforzo che non è costruttivo, ma difensivo, e con il rischio anche di isolarsi dietro le proprie barriere… bisogna avere la risoluzione di infrangerle, anche a costo di restare scoperti per un poco; o non si vive, se non per “superare l’assedio”.
Chi mi legge, se mai ci fosse qualcuno a farlo, si sarà stancato di queste mie chiacchiere che in fondo non parlano di me… me ne sto accorgendo. Mi vedo come un sordomuto che tenta di fare dei discorsi, intento a sciorinare versi addosso al silenzio, incapace di sentirsi e senza produrre così un vero messaggio [spruzzatore di parole].
Ora devo chiudere. Forse più tardi scriverò di qualcosa che mi è successo recentemente. Raccontare la vita, anziché descrivere le proprie melense aspirazioni…

Quella giusta (post itinerante)

Eccomi qua, sul pullman del ritardo, a scrivere un post cui stavo pensando fin dal risveglio,  avvenuto quasi due ore fa. Pensavo naturalmente, come spesso mi accade, a lei; la solita lei di post molto più vecchi di questo. La stessa lei che i più attenti possono scorgere come destinataria (destinatrice?) di miei molti riferimenti, intendimenti, messaggi, gestualità, intenzionalità. Quella lei tanto radicata ancora nelle mie idee, da diventare effimera, astratta, oramai, dopo così tanto tempo. Stamattina, al risveglio, mi sono reso conto di come certe mie memorie siano, chissà come, evaporate nel nulla, rispetto ai contorni in cui ero solito collocare i ricordi di lei. Certe immagini sfiammano con l’intensità della candela consumata, e presto non resterà che una voluta di fumo a tracciare i vaghi lineamenti di vecchie fotografie. Non ricordo più, ad esempio, come si concludeva quel muro di cinta di casa sua, una volta attraversato il portone. Vagamente mi sembra di intravedere qualche zolla di terra, dei mattoni… ma la forma perimetrale? Quel cane color caffelatte, che zompava ormai più sereno che felice, dove se ne andava, uscendo da sotto quel portico? Davanti agli occhi chiusi su questo mondo è scesa la nebbia dell’oblio.
Con questa consapevolezza, stamattina al risveglio allora ripensavo a ciò che un po’ tutti, variamente, mi dicono da anni: cioè che sto vaneggiando. Affettavo, quasi due ore fa, queste sensazioni penose che provo nel constatare che lei vive una vita propria anche e soprattutto con me fuori da essa; o meglio, in cui effettivamente ci sono, ma in una maniera che non riesco tuttavia ancora ad accettare. E mi figuravo tornare a sostare davanti a quel portone, ascoltando i rumori di una vita familiare adesso estranea.
Niente, stamattina pensavo a queste cose così dolorose. Prendo, e porto via… come tutti. Ne sto facendo un post, lo pubblicherò. Nel mondo accadono tante cose, ed anche questa. Lasciatemi dire, se non lo sapete, che è davvero …triste. Frustrante. Sapere di poter essere così vanamente innamorati di qualcosa che non c’è, e tuttavia non voler cedere ai passi giusti da fare. Dirsi che si vuole costruire qualcosa, e poi non farlo… credere di poter architettare bellezza, prima o poi, da offrire, spesso senza rendersi conto che la bellezza non è da costruire, o da ricercare con affanno, ma è casomai da saper cogliere, proteggere, valorizzare. Scrivo queste cose per capirle, non per predicarle…
Non so dire come mi comporterò, fra due ore. Lei è da qualche parte; benissimo. Seguito a non capire…

Everything in its right place

Per lavoro mi hanno fornito il tablet (del quale non rivelo apertamente la marca, per ragioni di copyright, eccetera), e devo ammettere che, dopo i primi momenti di totale spaesamento, adesso mi ci ritrovo.
Penso sia uno strumento molto valido, differente dal computer, dal portatile, e dallo smartphone; permette grosso modo una funzionalità ibrida rispetto agli stessi, e il grosso punto di forza è il suo schermo multitouch.
Esso apre le strade a modalità operative nuove, più immediate; grazie ai tocchi, ai gesti, è più fluido il passaggio dall’idea al risultato, al prezzo però di disimparare alcuni automatismi consolidati da anni di utilizzo del PC.
Per quanto concerne l’uso creativo, il tablet si guadagna una posizione di favore rispetto ad altri strumenti; esistono infatti molti applicativi, anche gratuiti, che fanno dell’espressività creativa il perno attorno al quale ruota l’esperienza dell’utilizzatore.
Questa “ricchezza” allarga gli ambiti di utilizzo, con una direzione sociale (attraverso i già noti canali di condivisione) e collettiva, nel caso di utilizzo durante eventi musicali, multimediali, visuali.
Penso che se il tablet è uno strumento così immediato e sufficientemente in grado di rispondere alle esigenze dell’utilizzatore medio di PC, anche in ambito professionale e d’ufficio, la prossima rivoluzione informatica riguarderà principalmente la genesi di una ulteriore divisione nello sviluppo e nella produzione dei computer; vedremo contrapposte macchine potenti più orientate verso utilizzi specifici e tecnici, e macchine più orientate agli aspetti “effimeri” degli utenti utilizzatori.
Tutto questo è banalmente infuenzato sia da come è andata a svilupparsi la Rete nell’ultimo decennio, sia da come la società è cambiata, andando via via perdendo i confini naturali degli spazi e del tempo (la realtà aumentata), e, infine, anche dai dettami del mercato, che per ragioni di marketing e di profitto è stato capace di infilrci nelle tasche questi colorati strumenti.
Non c’è tuttavia da stupirsene: i bisogni indotti sono conseguenza del benessere che stiamo vivendo da circa sessant’anni, e con questa logica è possibile produrre beni e servizi indipendentemente dall’effettiva domanda per gli stessi.
Inizia dunque anche per me un’altra ricerca, una delle tante che la vita ci richiede per tentare di capire che ci stiamo a fare quaggiù, ed è la ricerca di uno spazio di utilizzo in cui collocare l’intelligente sottigliezza di questa tavoletta… ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa.