Tempus fugit

Ehi! Ma dove se ne va a finire tutto il tempo?
Sarà che su ventiquattr’ore di una giornata ne passo più di sedici fra sonno e lavoro, mentre le restanti vengono assorbite fra tutte quelle azioni da un minuto almeno, che però se le metti assieme …ti portano al domani. Le ore scorrono, scivolano via. I minuti, ah, i minuti sono micidiali. Se te ne servono cinque, a tre sei già in fibrillazione perché stanno finendo. Conta, conta fino a 300. Cinque minuti. La verità è che non è il tempo ad essere troppo poco: sono le cose da fare ad aver bisogno di un ridimensionamento. Da qui, la scelta. Vivere una vita più lenta non significa fare le cose con calma, senza fibra, flemmaticamente. Significa soppesare le proprie possibilità, ammettere anche di “non potercela fare”. E regalarsi così il tempo di “fare meglio”, anziché “fare di più”.

Post senza capo, né coda, ma con un certo spirito

“Ma che hai?!”
No, niente, niente… figurati! Non sono né triste, né felice. Mi sento strano, e non sono preoccupato di come mi sento. Assolutamente.

Ieri sera è stata una di quelle serate che sarebbe potuto succedere di tutto, se vivessi in un film.
Che poi io sono convinto di vivere in un film. Certe volte mi succedono cose totali; totalizzanti, come dico io. Vabbè.

Comunque alla fine sono tornato a dormire, come sempre ho chiuso gli occhi, steso sul letto, la testa NEL cuscino. Come dire: la parentesi la devi chiudere. Per questa impossibile continuità, per questo incessante, scandito, obbligo a ritornare, per questo procedere di giorno in giorno, e le notti in mezzo, il tempo sembra correre troppo velocemente, sperso in frammenti troppo brevi. L’azione si interrompe, restano le intenzioni, i pensieri, i sogni, le sensazioni, i desideri, le parole zittite.

E questo è un blog; già, e io stavo cercando di ricordare il mio ieri; scusate se mi perdo nelle riflessioni, di tanto in tanto.

Ho assistito alla presentazione di un libro. È la prima volta che assistevo alla presentazione di un libro, credo. Devo averlo fatto forse a scuola, ma non conta. Lì non vuoi veramente andarci, e poi non è mai niente di personale. Poi devi relazionare, riportare, essere giudicato.

Comunque.

Ero là che ascoltavo (un po’ svaccato su certi cuscini – disposti cromaticamente con un preciso ordine di beige, marrone, rosso e arancio) i tentativi di intervista a questo giovane scrittore, con il quale ho sentito, fin da subito, una forte vicinanza, un senso di condivisione d’idee.
Ho comprato il libro, figuratevi. Stamattina non ho potuto che leggerne poche pagine, e finora quello che ho letto mi è piaciuto molto. Se non fosse che tra poco dovrò aprire una parentesi (che spero di chiudere subito) lo leggerei …tutto d’un fiato. Capacissimo di farlo, eh.

E niente, poi che fu? Dopo la presentazione del libro, e poche chiacchiere con lo scrittore, ho potuto, in loco, avere certi scambi di pensiero con un poeta ex chitarrista, e con un NOTEVOLE batterista. Tre incontri, capite? Tre incontri che mi hanno lasciato un segno, molto forte, nei ricordi e nella sensazioni, perché senza fare domande ho ricevuto gratuitamente delle risposte. Delle risposte che cercavo da un po’, e sebbene non fossero le uniche, diciamo che mi riguardano per adesso.

Coincidenze, caso. Reminescenze. Quando poi la gente è arrivata in massa, me ne sono andato.
Sono tornato in Bastiglia – che se non sapete cos’è e cosa rappresenta per me, beh, credo che lo scoprirete leggendomi, in futuro – (s)travolto dagli eventi, dove poco dopo mi è stata posta una scelta, andare o rimanere. Chissà cosa sarebbe successo se fossi andato.

Rimasi, se non altro per l’amico, se non altro per il legno della panca, per la sensazione da fine serata. Per quanto fosse relativamente presto.
Bevvi una birra, si aggiunse un altro amico.
Sapete come va a finire, certe sere che ti sembra che stia per succedere qualunque cosa. Non accade mai nulla, eppure i legami si fanno in un certo senso più forti, non so.
Qualche chiacchiera, le risate.

Buonanotte, ci vediamo domani.