Ti sei avvicinato. Non hai un Martini, e nemmeno lei. E ci scherzi su, che altro vuoi voler fare?
Poi avete voluto aver superato il cordone di sicurezza, da dentro per fuori; “le macchine le recupereremo dopo”, dici. E vi spingete con i vostri stupendi abiti nel centro della cittadina sul mare. Non capisci come mai tutto sembri essere stato spostato in Spagna, da un momento con un altro. E non sai che ore sono. Il tempo è stato preso per essere scosso violentemente, così da fargli assumere altri aspetti, sapori, caratteristiche.
“Peter”
“Fiona”
No, meglio.
“Ron”
“Lizzie”
Insomma, è lei che inizia a parlare, per prima. Tu l’ascolti, e la guardi pure. Dentro gli occhi, e fra la bocca ed il naso. Quando tocca a te continuano a passare macchine, urti gente, c’è chiasso. Lei non capisce mai, ma ride, e ride, e ride.
Le case sono contornate a china, a ridosso della piazza. Saltimbanchi e mangiatori di fuoco, lo spettacolo risuona di monete, tamburi, sopracciglia alzate e sguardi fissi di bambini, di numero in numero, fino alla danza delle sciabole.
Vi erano due duellanti, un uomo e una donna, ma il numero era a tre con la luna. Le figure muovevano scie di riflessi filanti, freddi d’argento e caldi di forgiatura, in una danza di incanti, tracciata nell’aria e nella gente.
Ed ora sapete esattamente che ora è, che tempo è; e tornate fra gli invitati della festa rovinata, fra le macchine, le cancellate e le fontane, senza badare ai vostri rispettivi nomi. È stato bello così.