Di carta.
Zitto.
Zitto. Guarda.
Guarda.
Zitto.
Guarda.
Il bianco! Bianco, bianco, bianco. Foglio. Bianco.
Bordo. Pezzi del tavolo. Bordo bianco. Il bordo non esiste. Foglio, aria. Marrone. Bianco. Foglio.
Tavolo.
Ecco. La matita. La penna. Il pennarello. I pastelli rovesciati. L’odore del pastello. Il legno. Il riflesso sull’acrilico. Il sapore della grafite. La rugosità del legno. La puntità degli scarti del temperamento della punta della matita. Il temperamento della matita. La matita. La mano. La matita.
Il foglio.
La mano.
La matita.
La mente.
Qualcosa di sublime. Subito!
“Non distingueva le ombre degli occhi dallo stagnante riverbero estivo. La costrizione dei minuti si stemperava nelle vaghe volute di un’involontà dichiarata autentica, ma di fatto resa null’altro che fumo odoroso, una sensazione talmente riempitiva degli spazi da nemmeno apparirgli chiara e distinta, o presente. Cullavasi nell’impressione di sfumature di suoni, voci e colori, altalenandosi fra memorie vivide e l’indifferente presente senza orizzonti.”
Ed arrivarono quattro gendarmi, con i pennacchi e con le armi.
Prendi. Piega. Prendi. Stringi, piega. Apri, contorci. Stralcia.
Silenzio, rumore, silenzio. Memoria.
Prendi.
Prendi un foglio.
Strappalo.