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Il Vangelo di questa domenica mi invita, nuovamente, ad essere umile, mite. In questo modo si può ritrovare la saggezza di apprezzare il carattere vero delle cose, senza che tutto sia avvolto di una patina di ostentazione, di superbia. La ricerca non dev’essere più mirata al privilegio, bensì all’uso, alla fruizione, alla condivisione.
Una certa sobrietà ci permette di rimanere in grado di cogliere e vivere davvero la nostra umanità, senza che sia confusa dalle azioni e dai pensieri e dai gesti indotti da bisogni artificiali.
Non è una questione di morale, Lorenzo. Non ci si “comporta bene” perché è giusto. Il cristiano, diversamente da altre concezioni, non vede nella legge la necessità di imporsi la disciplina, la regola per salvarsi. Tanto che l’unico comandamento che viene “dettato”, in aggiornamento e rottura con l’antichità precedente è: ama. E amare significa probabilmente lasciare il posto agli altri. Lasciare che gli altri entrino in noi, ma senza obbligarli a piegarsi o a faticare per entrare in pertugi bui e piccoli. La necessità di avere una mente grande, un cuore grande, la necessità di tacere ed ascoltare, comprenderla e farla propria allora porta alla possibilità di parlare, e di lasciarsi consolare.
Non è il contrario della forza, tutto questo. Si tratta di una forza non violenta, una forza che perdura ben oltre ogni eliminazione fisica, ogni costrizione, ogni vittoria, ogni invasione, ogni atto di supremazia. La forza intesa in quest’ultima accezione non genera umani che lo siano davvero: quanto c’è di umano in corpo morto? Quanto c’è di umano nel riconoscere solo il diverso nei nostri simili?
Si deve essere umili, per non smettere di imparare.
Si deve imparare, per essere saggi.
Si deve essere radicali, per applicare la propria saggezza nei propri giudizi.
Si deve abbracciare la saggezza di chi è venuto prima di noi, apprezzandone la tradizione.
Nella staffetta umana non ci dev’essere posto per chi suppone di poter conservare un posto nella Storia. Un posto nella Storia non è un posto vicino a nessuno; è soltanto un’ipoteca sulla felicità degli altri, che alla lunga ci lascia soli ed infelici.

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