Sei diventata il finale di uno spettacolo pirotecnico.
Cavolo, era ora. No, perché piove, e il tizio in parte a me è un killer seriale, e io devo anche andare in bagno. Vedo che lì c’è un cestino, ci butterò tutti quei foglietti pieni di appunti; che tengo in tasca invece che tenerli a mente. Eri qualcosa di altamente eccitante, eri qualcosa di descrivibile. Ora non sei che la fotografia fatta con il cellulare. Mi vieni in mente, ma ci sono troppi pixel che ti sgranano. Restano ricordi un po’ più colorati di certe sensazioni, di come era la tua voce, e di quello che mi portavano le tue parole. Anziché lanciarli, i fuochi d’artificio che sto guardando, mi scoppiano davanti. Fioriscono, aumentano di numero, rumore, sfumature. So che da qualche parte lasciano cadere pezzi carbonizzati di sé. Minuscoli pezzettini, che nessuno andrà mai a cercare.
Lo spettacolo sta finendo. Mi spiace, mi piaceva. Vuoi mettere, però, l’arte di costruirlo, un fuoco d’artificio? Che magari d’artificio ha solo il nome: alimentare un fuoco vero, un fuoco caldo, piuttosto che colorato. La tua bocca storta e i tuoi occhi asincroni: da anni rinfocolano l’amore per qualcun altro… dunque, perché sono ancora qui? Avevo pagato, era un mio diritto rimanere.
Non ha importanza. Non c’è più niente da vedere.
Faccio l’occhiolino al killer seriale: verrà a trovarmi quando lo deciderà.
Rimetto la mano nella tasca finalmente sgombra. Sì, mi fischiano ancora un po’ le orecchie: è difficile, il silenzio. Cerco di capire il movimento dei miei passi.
Mi domando se sia ancora così presto chiedermi come sarà il prossimo spettacolo.
Cavolo, era ora. No, perché piove, e il tizio in parte a me è un killer seriale, e io devo anche andare in bagno. Vedo che lì c’è un cestino, ci butterò tutti quei foglietti pieni di appunti; che tengo in tasca invece che tenerli a mente. Eri qualcosa di altamente eccitante, eri qualcosa di descrivibile. Ora non sei che la fotografia fatta con il cellulare. Mi vieni in mente, ma ci sono troppi pixel che ti sgranano. Restano ricordi un po’ più colorati di certe sensazioni, di come era la tua voce, e di quello che mi portavano le tue parole. Anziché lanciarli, i fuochi d’artificio che sto guardando, mi scoppiano davanti. Fioriscono, aumentano di numero, rumore, sfumature. So che da qualche parte lasciano cadere pezzi carbonizzati di sé. Minuscoli pezzettini, che nessuno andrà mai a cercare.
Lo spettacolo sta finendo. Mi spiace, mi piaceva. Vuoi mettere, però, l’arte di costruirlo, un fuoco d’artificio? Che magari d’artificio ha solo il nome: alimentare un fuoco vero, un fuoco caldo, piuttosto che colorato. La tua bocca storta e i tuoi occhi asincroni: da anni rinfocolano l’amore per qualcun altro… dunque, perché sono ancora qui? Avevo pagato, era un mio diritto rimanere.
Non ha importanza. Non c’è più niente da vedere.
Faccio l’occhiolino al killer seriale: verrà a trovarmi quando lo deciderà.
Rimetto la mano nella tasca finalmente sgombra. Sì, mi fischiano ancora un po’ le orecchie: è difficile, il silenzio. Cerco di capire il movimento dei miei passi.
Mi domando se sia ancora così presto chiedermi come sarà il prossimo spettacolo.