Non sono un esperto di vini, ma intuitivamente capisco se un vino mi piace oppure no.
Un po’ mi spaventa la faccia grave di chi se ne intende, mentre si concentra per capire le sensazioni che prova nell’assaggiare: troppa intensità in quei secondi di attesa prima del verdetto. “Mah, secondo me…”
Tranquillo, tranquillo. Non stai scrivendo una recensione, ti stai godendo un momento assolutamente soggettivo. Puoi dirmi “mi piace”, “non mi piace”, ma non tirarmi fuori che sa di acciuga o se profuma leggermente di erba di prato appena tagliato! Cerca invece di ricordarti che sei fra amici. Rilassati. E raccontami una storiella divertente.
Sabato scorso, 19 luglio, qui, ho assaggiato un po’ di vino che mi è piaciuto. C’è un tizio in Val Camonica che ha avuto il coraggio di fregarsene di quello che gli dicevano tutti, di quello che diceva il mercato. Nella sua Val Camonica, quella di suo padre, e di suo nonno, e, indietro fino a chissà quando e chissà chi, c’è una tipicità che non deve perdersi nel nome del rassicurante conformismo. Enrico ci ha messo coraggio, vita e gioventù per difendere e diffondere un vitigno che si chiama Erbanno, cercando di riportare alla responsabilità degli elementi e della fatica il potere di decidere cosa deve rimanere in essere, oppure no.