Questa mattina mi son svegliato, ma non ho detto “bella ciao”.
Ho trovato comunque l’invasor: un pensiero triste fra le pieghe delle lenzuola.
Sono sceso dal letto, mi sono messo al PC, a lavorare un po’. Ho sbirciato un poco Facebook, ogni tanto. Verso l’ora giusta sono andato in bagno, per fare quello che dovevo. Lavatomi i denti, mi son vestito e son partito.
Camminavo verso la fermata del bus, e non potevo scacciare dalla mente quel che ho trovato sul social network: le tue vecchie parole che non conoscevo, che hai scritto quando già non c’ero più. E questo mi ha fatto voglia di tirare fuori il tablet, mentre sono qui sul pullman per andare verso quest’ultima giornata della settimana lavorativa, per scrivere le mie solite scribacchiate. Penso ad alcune cose che crescono dentro di me, ai desideri e alle tensioni delle mie giornate, e, sì, penso ancora a te, in una versione cristallizzata, ideale e fantasiosa, che vorrei cancellare per lasciare posto ad una nuova conoscenza, più vera e profonda.
Sono pieno di dubbi e curiosità, e soprattutto sono il primo a chiedermi “perché”.
Perché, e come, dopo tutto questo tempo, e tutta questa vita?
Che senso hanno, il possibile, l’impossibile, il decente, o l’opportuno? Che senso ha la mia vita, in effetti? Non la sto denigrando: la mia è una vera domanda. Dove vado? Cosa ho vissuto finora? Perché, di nuovo?
E di nuovo aspetterò una risposta, che se non arriverà sarà comunque una risposta: tenterò di interpretare il silenzio e l’assenza di suoni, così come si contano le pause tra le frasi musicali.