Eccomi qua, sul pullman del ritardo, a scrivere un post cui stavo pensando fin dal risveglio, avvenuto quasi due ore fa. Pensavo naturalmente, come spesso mi accade, a lei; la solita lei di post molto più vecchi di questo. La stessa lei che i più attenti possono scorgere come destinataria (destinatrice?) di miei molti riferimenti, intendimenti, messaggi, gestualità, intenzionalità. Quella lei tanto radicata ancora nelle mie idee, da diventare effimera, astratta, oramai, dopo così tanto tempo. Stamattina, al risveglio, mi sono reso conto di come certe mie memorie siano, chissà come, evaporate nel nulla, rispetto ai contorni in cui ero solito collocare i ricordi di lei. Certe immagini sfiammano con l’intensità della candela consumata, e presto non resterà che una voluta di fumo a tracciare i vaghi lineamenti di vecchie fotografie. Non ricordo più, ad esempio, come si concludeva quel muro di cinta di casa sua, una volta attraversato il portone. Vagamente mi sembra di intravedere qualche zolla di terra, dei mattoni… ma la forma perimetrale? Quel cane color caffelatte, che zompava ormai più sereno che felice, dove se ne andava, uscendo da sotto quel portico? Davanti agli occhi chiusi su questo mondo è scesa la nebbia dell’oblio.
Con questa consapevolezza, stamattina al risveglio allora ripensavo a ciò che un po’ tutti, variamente, mi dicono da anni: cioè che sto vaneggiando. Affettavo, quasi due ore fa, queste sensazioni penose che provo nel constatare che lei vive una vita propria anche e soprattutto con me fuori da essa; o meglio, in cui effettivamente ci sono, ma in una maniera che non riesco tuttavia ancora ad accettare. E mi figuravo tornare a sostare davanti a quel portone, ascoltando i rumori di una vita familiare adesso estranea.
Niente, stamattina pensavo a queste cose così dolorose. Prendo, e porto via… come tutti. Ne sto facendo un post, lo pubblicherò. Nel mondo accadono tante cose, ed anche questa. Lasciatemi dire, se non lo sapete, che è davvero …triste. Frustrante. Sapere di poter essere così vanamente innamorati di qualcosa che non c’è, e tuttavia non voler cedere ai passi giusti da fare. Dirsi che si vuole costruire qualcosa, e poi non farlo… credere di poter architettare bellezza, prima o poi, da offrire, spesso senza rendersi conto che la bellezza non è da costruire, o da ricercare con affanno, ma è casomai da saper cogliere, proteggere, valorizzare. Scrivo queste cose per capirle, non per predicarle…
Non so dire come mi comporterò, fra due ore. Lei è da qualche parte; benissimo. Seguito a non capire…