Pagg. 147 e 148

– Portava fra le braccia dei disgustosi, inquietanti fiori gialli. Sa Dio come si chiamano, ma per qualche motivo sono i primi che appaiono a Mosca. E questi fiori spiccavano nettamente sul suo vestito nero primaverile. Portava dei fiori gialli! Brutto colore. Svoltò dalla Tverskaja in un vicolo e qui si voltò. Be’, conosce la Tverskaja? Sulla Tverskaja passavano migliaia di persone, ma le giuro che lei vide solo me e mi guardò con espressione non inquieta… addirittura quasi morbosa. E mi colpì non tanto la sua bellezza quanto la straordinaria, indicibile solitudine nei suoi occhi! Obbedendo a quel segnale giallo, anch’io svoltai e la seguii. Camminammo in silenzio per lo storto, uggioso vicolo, io da una parte, lei dell’altra. E nel vicolo, s’immagini, non c’era anima viva. Io mi tormentavo, perché mi sembrava che fosse indispensabile parlarle, e temevo che non sarei riuscito a dirle neppure una parola, che se ne sarebbe andata e non l’avrei mai più rivista. E, s’immagini, a un tratto fu lei a parlare:
– Le piacciono i miei fiori?
Ricordo perfettamente come risuonò la sua voce, abbastanza bassa, ma con bruschi sbalzi, e per quanto la cosa sia stupida mi sembrò che echeggiasse nel vicolo e rimbalzasse sullo sporco muro giallo. Passai rapidamente dalla sua parte e avvicinandomi risposi:
– No.
Mi guardò stupita, e all’improvviso, e del tutto imprevedibilmente, capii che per tutta la vita avevo amato proprio quella donna! Che storia, eh? Lei naturalmente dirà che sono pazzo?
– Non dico niente, – esclamò Ivan e aggiunse: – Vada avanti, la supplico!
E l’ospite continuò:
– Sì, mi guardò stupita e poi, dopo avermi guardato, mi chiese: – Non le piacciono i fiori in genere?
Nella sua voce c’era, mi parve, dell’ostilità. Io camminavo accanto a lei, sforzandomi di tenere il suo passo, e, con mia grande sorpresa, non mi sentivo affatto imbarazzato.
– No, mi piacciono i fiori, ma non questi, – dissi.
– E quali?
– Mi piacciono le rose.
Allora mi pentii di averlo detto, perché lei fece un sorriso colpevole e gettò i suoi fiori nel rigagnolo. Benché un po’ smarrito, tuttavia li raccolsi e glieli porsi, ma lei, con un sorrisetto, respinse i fiori, e li tenni in mano io.
Così camminammo in silenzio per un po’ di tempo, finché lei non mi tolse di mano i fiori, li gettò sul selciato e poi infilò la sua mano dal guanto nero svasato nella mia, e proseguimmo accanto.