Una volta raggiunto un certo grado di distacco, ho tentato di tornare da lei – ma lei non c’era già più.
Ma continuavo a dirmi: “tornerà”.
Non tornò, e ormai sono passati quasi due anni.
Con mio grande disappunto, solo stasera sto realizzando di aver buttato nel cesso due anni della mia vita.
Quando ci lasciammo, io poi lasciai tutto il resto: gli amici, la cura di me stesso, lo studio, la musica a cui tenevo, il lavoro, pretendendo però sempre le stesse cose, e fingendo sempre e comunque che le cose andassero sempre bene. O almeno normalmente.
Mi sedevo alla finestra della mia torre d’avorio, e ricevevo gli altri come ospiti ai quali non mi sarei mai sognato di mischiarmi: le ragazze a cui ho chiesto di uscire mi hanno sempre rifiutato, Francesca non voleva saperne di me, gli amici certe volte non mi telefonavano più. Uno strano, triste, silenzio compulsivo ha cominciato a riempirmi le giornate. Tutte uguali, più o meno.
Ripenso a lei, quasi ogni giorno. Quando ci penso, se mi va bene il pensiero è fugace, e scivola via. Altre volte, come oggi, sento che mi manca al punto che vorrei strozzarmi per quello che ho fatto; che, se fosse solo per quello, poco male. Il fatto è che semplicemente non ho più fatto nulla, e sono stato spesso patetico, stronzo, meschino, falso, brutto, triste.
Non cerco di farmi compatire: sto sempre a dire che il blog è un mezzo con cui mi esprimo, e, davvero, se lo rileggo non riesco a trovare molte tracce di Tamer, fra tutte quelle parole.
Io amavo stare in compagnia, amavo stringere Francesca in un abbraccio, sentirne il respiro. Amavo anche solo camminarle a fianco. Amavo Dio, amavo la gente, amavo stare fra le persone. Guardavo i bambini, e sapevo che potevo farli sorridere.
E adesso che sono passati giusto due anni, che cosa posso dire, di me?
Niente.
Non ho niente da dire.
Penso che sia la più bassa concezione di me che ho mai avuto.